Si è svolto mercoledì 8 novembre alle 18 presso il Centro Culturale Veritas il laboratorio “UN’ESPERIENZA UNIVERSALE… dal Diluvio ad essere tutti sulla stessa barca”, a cura dell’Associazione Oltre quella sedia.

L’evento fa parte del ciclo formativo “Scuola comunità educante” organizzato dall’UCIIM Trieste (Unione Cattolica Italiana di Insegnanti, Dirigenti, Educatori e Formatori) in collaborazione con il Veritas.

Il laboratorio di Oltre quella sedia ha messo in scena e coinvolto i partecipanti in una performance basata sulla tecnica del teatro espressivo, dell’Avanguardia, e in particolare dal Teatro di Ricerca, che lavora sulla parte emozionale di un testo come ricerca continua di nuove forme e opportunità di conoscere qualcosa in più di noi e di ciò che ci circonda.

Gli attori del Teatro InteressHante di “Oltre quella sedia” sono in gran parte giovani con disabilità cognitive. Il Teatro InteressHante si propone di creare ponti emotivi (la lettera H simboleggia visivamente un ponte che vuole riuscire a portare lo spettatore in luoghi emotivi altrimenti irraggiungibili dal solo pensiero.)

Marco Tortul, regista, educatore e coach e Manuel Covra, attore, hanno esordito con un quadro scenico in cui è stato protagonista l’equilibrio. Manuel ha camminato sul palcoscenico con un grosso libro sulle spalle ed allo stesso tempo ha declinato parole in libertà.

Il senso di questo primo atto era quello di mostrare come attraverso il movimento si riescano a cogliere qualità inattese ed altrimenti invisibili delle persone. In particolare, per gli insegnanti, un invito a cogliere al meglio le potenzialità dei giovani studenti.

L’azione teatrale è proseguita con un via via sempre maggiore coinvolgimento dei partecipanti al laboratorio, che sono stati invitati a imitare movimenti e parole di Manuel sia dal proprio posto che dal palcoscenico.

Sono emerse le rigidità e le difficoltà degli insegnanti nel movimento espressivo. Un tema che ha fatto riflettere i partecipanti, in particolare sul sentirsi valutati – se non giudicati – nel momento in cui ci si mette in gioco con tutto il corpo.

Una successiva performance ha messo in scena una performance collettiva sul tema dello scultore e della statua. Il gruppo si è suddiviso in “scultori” e “statue” permettendo di modellare reciprocamente le posizioni dei partecipanti. Anche in questa occasione si sono manifestate le esitazioni nell’interagire col corpo.

Quando al movimento si aggiungono suoni e parole inventate possono uscir fuori scenette divertenti in cui sperimentare autentica libertà ed entrare in sintonia giocosa con l’altro: questo il senso dell’ultimo “quadro” teatrale, che non ha mancato di suscitare una contagiosa ilarità generale.

Entrare nel mondo dell’altro attraverso il movimento con “Coraggio!” e “Fiducia!”: questo il messaggio conclusivo di questo primo laboratorio.

Fotogallery a cura di Tiziana Melloni:

Di seguito il racconto di Marina Del Fabbro:

La musica è dolce, il suo passo è leggero, ma lui deve camminare chino perché porta sulla schiena un pesante libro. Il peso della sua disabilità. Anche da lì sotto, però, mentre passeggia in quella scomoda posizione su e giù per la sala, Manuel riesce a costruire bellissimi fili di parole.
“Manuel, se ti dico “emozione”, cosa rispondi?” gli chiede il suo accompagnatore, Marco Tortul
“Forte”
E “paura?”
“Di andare avanti”
“Incastro?”
“Della mente”
…..
Ma a “Cielo” risponde a pieni polmoni “Azzurro!”
E a “bosco”
“Verde!”
A “Felicità”
“Grande!”

Ed è bravissimo nel fare boccacce o mimare qualsiasi cosa gli venga proposta, e solo oggetti concreti o animali come albero, mela, picchio, ma anche aggettivi: grande, strano, divertente o stati d’animo: solitudine, leggerezza, chiusura … persino “incontro”.

Quando poi Marco gli chiede come si senta dopo la sua performace, Manuel esclama sicuro “Sodisfatto e fiero di aver fatto questo.”

E ha pienamente ragione.

Manuel, come dichiarato da lui stesso in forma del tutto trasparente e senza giri di parole, è un ragazzo con una disabilità intellettiva ed è autistico. A scuola è stato uno studente che ha fatto fatica, noi insegnanti lo abbiamo classificato un BES, ma ora è lui ad andare nelle scuole per tenere interventi e i bambini lo chiamano “maestro Manuel”. Una bella soddisfazione. Pienamente meritata perché Manuel di cose da insegnare, e non solo ai bambini ma anche noi docenti, ne ha tante. Per esempio a non sentirsi a disagio nell’esibirsi davanti a tutti anche se la richiesta è di fare facce buffe, come invece ci siamo sentiti noi docenti quando durante la serata siamo stati invitati a farlo a nostra volta, perché “se fai le cose giuste”, dice Manuel “del giudizio degli altri non importa”.

Bella lezione.

E che dire del gioco delle statue, quello per cui, in ciascuna coppia uno, lo scultore, deve modellare il suo compagno che si presta a fare la statua? Un gioco semplice che però richiede da un lato creatività, dall’altro affidamento e soprattutto, per riuscire bene, la convinzione che in tutti si celi “un’opera d’arte” e la disponibilità a manipolare e farsi manipolare. Noi, insegnanti, tra l’imbarazzato e l’impacciato sia per il fatto di doverci toccare che per la necessità di lasciarci mettere in posa. Lui invece disinvolto nel plasmare, letteralmente plasmare, accarezzandolo delicatamente, il compagno alla ricerca della posizione giusta per braccia, mano, dita, collo…: un vero talento interiore fatto emergere grazie alla corporeità. “Perché le idee” ha commentato Marco “per diventare cosa concreta, non basta esprimerle a parole, vanno anche rese visibili”.

Manuel desidera comunicare ma è impacciato nel parlare: appena però è lasciato libero di esprimersi con il corpo…a cosa mai servono più le parole codificate? Lui e Marco, a patto di potersi muovere liberamente nello spazio, possono benissimo intessere anche un dialogo di parole insistenti e senza senso eppure capirsi (e farsi capire anche da noi) perché… in effetti: a cosa servono le parole? E’ il corpo che guida, il verbale viene dopo.

“Un’esperienza universale….dal Diluvio ad essere tutti sulla stessa barca”: laboratorio decisamente coinvolgente e intenso quello che martedì scorso, 8 novembre, ha ripreso e completato il tema della “cura” già messo a fuoco, la settimana precedente, nella conferenza di Luca Grion “Sulla crisi della comunità educante: isole o nodi di una rete?” proposto da UCIIM-Trieste.

Coinvolgente e intenso e non solo per i messaggi di forte umanità ed esigente richiamo alla “cura” di ogni persona che ha offerto a noi docenti, ma anche per l’evidente rapporto di fiducia e intesa percepibile tra Manuel e il suo educatore Marco. Rapporto pazientemente costruito negli anni su tanti elementi: rispetto dei tempi di Manuel innanzi tutto (e come non pensare ai tempi standardizzati e stressanti che noi insegnati dobbiamo imporre ai nostri studenti a motivo del nostro rigido orario scolastico?), ricerca del modo di comunicazione a lui più congeniale ( e noi, invece, a scuola, costretti a limitarci prevalentemente al verbale davanti ad una platea di ragazzi bloccati nei banchi…). E ancora: nessun giudizio, (!!) solo tanto ascolto e reciproca intesa alla ricerca della costruzione di percorsi volti a sviluppare talenti, capacità e autonomie attraverso il fare. Ma, prima di tutto, la profonda convinzione che in ogni persona si nasconde un mondo interiore di incredibile vastità e bellezza e che il compito del docente sia esattamente quello di farlo emergere, nulla di più. Non occorre altro.

Manuel vive in Casa Ragazzi, una delle residenze di “ Oltre quella Sedia”, associazione nata inizialmente come Compagnia teatrale e poi diventata di Promozione sociale di supporto e accompagnamento per ragazzi con disabilità.

“Oltre quella sedia” non è un nome casuale: vuole essere il superamento o meglio la scomposizione di quella “sedia” a rotelle che è il simbolo della disabilità: perché uscendo dalle etichette e scomponendo i simboli, e non solo loro, si aprono modi nuovi e inediti.

“Manuel, come ti trovi in Casa Ragazzi”
“Bene!”
“Come sono gli altri ragazzi?”
“Bravi, tutti”
“Proprio tutti?”
“Si. Tutti”
“Tu cosa fai?”
“In casa faccio tutto: cucino, pulisco, lavo.. ascolto musica…e poi ci sono gli interventi nelle scuole, il giropinza ovvero la pulizia delle strade, la cura delle aiuole, l’attività teatrale, la pulizia dei giochi per i bambini…i sabati ecologici cioè la raccolta di materiali scartati che vengono riusati per realizzare oggettini da vendere nei mercatini…”
“Di tutto questo, c’è qualcosa che non ti piace?”
“Che non mi piace? No… a me piace tutto!”
“Vi voglio bene! Siamo stati bravi…”
“È stato bello…”
“Anche per noi, Manuel!”
“ E adesso, Manuel, come ci lasciamo?”
“Con due parole” suggerisce Marco Tortul, regista, educatore e fondatore di Oltre quella sedia, “due parole che ci piacciono tanto: ”Coraggio e fiducia”. Scandiamole insieme a voce alta.
Più alta!”
“CO-RAG-GIO”
“FI- DU-CIA”

Come non appaludire?

… caspita! Che lezione… (Marina Del Fabbro)