A voi che state leggendo: vi siete mai sentiti incompresi e fuori posto?

Questo è ciò che provano in Italia i tre ospiti della conferenza “Vivere a Trieste da profugo”. L’incontro, che rientra nel ciclo Geopolitica e religioni del Centro Veritas, ha visto come protagonisti Alan, donna curda iraniana di trent’anni, Rafeek e Shahid, due giovani uomini afghani sotto la trentina. L’evento, strutturato come una conversazione con il pubblico, era gestito dagli otto studenti appartenenti alla IV E del liceo Petrarca, in alternanza scuola lavoro.

Tutti e tre gli ospiti sono arrivati in Italia da pochi anni. A causa di situazioni di guerra, persecuzioni e problemi di natura economica hanno dovuto abbandonare la loro patria. Alcuni come Rafeek sono giunti a Trieste da minorenni, dopo aver affrontato viaggi estenuanti. Durante la sua fuga lunga 3 mesi, il nostro “conferenziere” ha dovuto sopportare tragitti interminabili in piccoli camion gremiti di gente, pagando perfino considerevoli pedaggi. Per di più Rafeek ha raccontato che non ha mangiato né bevuto per ben sei giorni e sei notti di seguito.

Bisogna tenere bene a mente il fatto che, come sottolineano essi stessi, nei loro Paesi conducevano uno stile di vita ordinario, mentre migrando hanno perso tutto, ma non la loro dignità.

Appena arrivati a Trieste il primo ostacolo che hanno incontrato è stato la barriera linguistica. Un aneddoto divertente riportato da Alan è che in Kurdistan la parola “ciao” significa “occhi”. Quindi, quando le veniva rivolto questo saluto in Italia, lei credeva che avesse qualche problema agli occhi.

Tuttavia, grazie alla frequentazione di corsi fuori o dentro istituti scolastici e a una buona dose di dedizione personale si stanno costruendo un futuro. Anche se non è facile. Infatti alcuni studi compiuti in patria non vengono loro riconosciuti. È sorprendente notare come l’apprendimento dell’italiano sia stato agevolato da un’evidente forza di volontà fino al raggiungimento di un buon livello. Inoltre per incrementare le loro possibilità lavorative, i due giovani afghani hanno studiato per ottenere la patente di guida.

Purtroppo è opinione diffusa, e non infondata, che le generazioni italiane più anziane siano meno disposte ad accettare la presenza di stranieri richiedenti asilo. Tuttavia anche il rapporto con i giovani triestini non è sempre facile. Però, la delusione è doppia per i nostri ospiti davanti alla mentalità poco aperta di una parte della gioventù nostrana che ha la possibilità di studiare.

Durante la conversazione con il pubblico, Shahid, alla richiesta di riferire le espressioni sgradevoli a lui indirizzate, ha preferito non esternarle in quanto esse fanno parte della sua vita e deve superare da solo queste sue frustrazioni.

In ogni caso il loro desiderio è ritornare in patria. Però, uno dei problemi principali, è la guerra che sta devastando l’Afghanistan e il regime oppressivo in Iran. I due giovani afghani, infatti, testimoniavano che, a casa loro, l’unica preoccupazione ogni giorno era riuscire a sopravvivere ai talebani. E pur avendo a disposizione molti musei da visitare a Kabul, non era prudente andarci, e avevano ben altri impegni vitali da perseguire.

In numerose occasioni, durante il cordiale dibattito al Centro Veritas, si sono dimostrati desiderosi di conoscere la cultura italiana e di condividere la loro, anche in altre occasioni attraverso incontri con ragazzi di Trieste. Si dimostrano propositivi al punto tale da offrire la loro disponibilità ad avviare corsi sulla loro lingua e cultura al Centro Veritas.

Il messaggio comune ai nostri tre interlocutori è la volontà di lavorare su sé stessi e così aprirsi pian piano verso il futuro, a Trieste o altrove.

Beatrice & Ilaria