La professoressa Marina Del Fabbro ha pubblicato sul sito dell’UCIIM Trieste la sintesi della conferenza del
23 novembre 2017 alla quale è intervenuta. Con il suo permesso la ripubblichiamo.

Segnaliamo che l’intera registrazione audio dell’incontro si può ascoltare in podcast. E alcune foto sono visibili su www.youreporter.it

“Lo sapete, eminenza, che differenza c’è tra me e lei? Io sono avanti di cinquant’anni.”.
Sono state queste le ultime frasi dette da don Lorenzo Milani al cardinale Florit venuto a
trovarlo in ospedale, poco prima che il priore morisse.

Adesso che i cinquanta anni sono passati, don Milani morì nella sua Barbiana, dove è
sepolto, il 26 giugno 1967, adesso, cinquanta anni dopo, possiamo constatare che aveva
ragione: nella Chiesa di oggi ritroviamo quelle stesse criticità e debolezze che don Lorenzo
in Esperienze pastorali aveva denunciato con spietata disamina; l’obiezione di coscienza
che aveva così convintamente difeso quando ancora era considerata una “vigliaccheria” è
ormai diventata una rispettatissima scelta, anzi: il servizio militare non c’è nemmeno più;
la scuola che la Lettera ad una professoressa aveva tanto duramente criticato per il suo
vizio di fondo di non capire che “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra
disuguali”, anche la scuola ha dovuto più e più volte ripensarsi per adattarsi ad una realtà
giovanile sempre più diversificata.

Don Lorenzo Milani, una figura difficile da cogliere nella sua interezza, se non altro
perché non solo sacerdote, ma anche pittore, scrittore, educatore, figura profetica.

Di don Milani, così come presentato nel testo “L’uomo del futuro”, si è parlato giovedì
scorso 23 novembre, in una vivace tavola rotonda al Centro Culturale Veritas. Primo
relatore l’autore stesso, Eraldo Affinati, affiancato dal direttore del Centro padre Luciano
Larivera s.j., il parroco padre Stefano Fossi s.j., e la presidente Uciim-Trieste Marina Del
Fabbro.

L’esperienza concreta di Barbiana si è chiusa con don Milani, ha detto Affinati, ma il suo
metodo, la sua attenzione per chi, mancando di parole, non riesce neppure raccontarsi, la
sua presa in carico degli ultimi, il suo I care.. quelli sono ancora presenti e l’autore stesso li
ha ritrovati incarnati nei tanti veri maestri che ha incontrato, ad esempio, a Città del
Messico, dove don Ramiro si prende cura dei ninos de rua; o in Sharif, l’imam marocchino
cieco, vero “condensato di umanità vitale”; o ancora in quella suora, “ragazza stupenda”
che a Benares imbocca “un anziano paralitico disteso nel tappetino”; ma anche nel
bambino cinese che lo accompagna in metropolitana indicandogli la via con fare paterno, o
il soldato Ivan che “diventerà antimilitarista e affronterà la cella” dopo aver visto le
mutilazioni, gli strazi, le teste mozzate, i civili uccisi nella guerra di Cecenia.

Esperienze concrete di chi si è lasciato coinvolgere e, da vero educatore, ama le persone
che gli sono affidate, sperimenta con loro, assieme a loro si ferisce ma riesce a cogliere il
fuoco che le anima, le valorizza, le rende consapevoli del loro valore. Maestri che sanno
intessere relazioni vere, accompagnare per poi sparire, essere rigidi ma non rigorosi e,
come don Lorenzo, guardare più al progresso che al traguardo. E poi ci sono gli sguardi, le
parole “amate” e cioè usate nel loro significato profondo, l’intensità del rapporto 1:1 che
un insegnante autentico deve saper mantenere sempre con tutti i suoi studenti anche
quando fisicamente si trovano in gruppo.

C’è l’esperienza della Città dei Ragazzi e della scuola Penny Wirton che, nata a Roma ad
opera di Affinati stesso e della moglie Anna Luce Lenzi ed operante adesso anche in altre
città, riesce a insegnare la lingua e con essa anche a dare possibilità di successo umano e
scolastico a tanti giovani stranieri immigrati in Italia, giovani che spesso hanno alle spalle
vissuti drammatici, come Bashir, ragazzo egiziano che, presente in sala, ha accennato alla
sua vicenda personale. Giunto a Roma per sfuggire ad una storia di violenze, ha appreso
l’italiano ed ora frequenta il collegio del Mondo Unito qui a Trieste.

Ed infine un’esortazione, la stessa sussurrata da don Milani poco prima di morire e che,
che sia una combinazione?, richiama tanto le esortazioni dell’attuale papa Francesco:
“Fate baccano” (Marina Del Fabbro)