Ecco, a cura del relatore, la presentazione della conferenza di martedì 19 dicembre 2017, alle 18.30 presso la sede del Centro Veritas. Il titolo completo è Il ruolo della religione nella politica interna ed estera della Turchia.

Il relatore è Federico De Renzi PhD Islamic and Turkish Studies;  Senior Advisor, Mediterranean Affairs; Freelance Political Analyst

L’appuntamento era stato rinviato rispetto alla data del mercoledì 29 novembre.

Si tratta di un nuovo appuntamento del ciclo Geopolitica e religioni.

In considerazione della rilevanza dei cittadini e degli investimenti logistici turchi nella portualità triestina, l’incontro è presentato in collaborazione con il Limes Club Trieste

 

Negli ultimi 10 anni, i turchi che aderiscono al laicismo costituzionale del loro Paese sentono sempre più che il loro stile di vita è minacciato da Erdoğan e dalla sua “pia” base di sostegno.

La spaccatura religioso-laica della Turchia è antica quanto la stessa Repubblica. Fino da quando il Partito Giustizia e Sviluppo di Erdoğan (AKP) salì al potere nel 2002, le fortune delle due parti furono invertite: seguendo le riforme occidentalizzate di Atatürk negli anni ’20, l’élite secolare governava il Paese mentre i cittadini pii venivano emarginati.

Nei primi anni del dominio dell’AKP, Erdoğan sembrava colmare il divario; sia i liberali sia i conservatori hanno lodato il suo rovesciamento del divieto del velo nelle università, che aveva bloccato l’accesso a generazioni di donne dall’istruzione superiore. Ma, da entrambe le parti, i sentimenti si sono induriti da allora. La retorica anti-occidentale e anti-israeliana o contro l’aborto e le politiche governative come quella degli aumenti delle tasse per l’alcol hanno contribuito a creare un senso di assedio tra i turchi laici.

Diffidando del dominio sunnita della vita pubblica, gli Aleviti costituiscono uno dei principali soggetti interessati alla trasformazione dello stato laico, pur avendo sofferto anche per mano di governi fermamente laici. Gli Aleviti, sia curdi sia turchi, esemplificano quella parte della Turchia che si sente maggiormente minacciata da Erdoğan, mentre mettono in luce sia l’autoritarismo politico e il nazionalismo religioso che lo precedettero, sia la disparità sociale della coalizione che si oppone a lui, rappresentando tradizionalmente le classi operaia e contadina (legate ai partiti socialisti e comunisti), nuove vittime dello sviluppo capitalista della Turchia.

Le dinamiche dello sviluppo capitalista hanno svolto un ruolo molto più centrale per il viaggio della Turchia dal laicismo al conservatorismo religioso – e prima ancora per la rottura kemalista con l’Islam – di quanto generalmente riconosciuto. Durante la Guerra Fredda, lo sviluppo capitalista e l’islamizzazione andarono di pari passo, poiché il conservatorismo religioso neutralizzò la sfida della sinistra e del lavoro. Oggi, la globalizzazione neoliberale dà impulso all’islamizzazione. Far emergere “generazioni pie”, che sono “tradizionali”, non ribelli e quindi essenziali per sostenere il neoliberismo. Una costituzione esplicitamente “religiosa”, in cui si fa riferimento a Dio, servirà a mascherare che è il capitale a regnare supremo. In definitiva, la sopravvivenza del laicismo richiede che l’ordine economico, legato alla costante islamizzazione della società, venga messo in discussione.

Anche a livello iconografico, si sta assistendo a un processo di “cancellazione” del presidente fondatore della Repubblica turca, Mustafa Kemal Atatürk. Il nuovo programma insegnerebbe la storia della Turchia dal punto di vista di un educazione nazionale e morale. L’obiettivo ufficiale è quello di proteggere i valori nazionali. Inoltre, il Ministero della Pubblica Istruzione ha promesso che avrebbe modificato il suo insegnamento della religione per conformarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sostituendo frasi come “la nostra religione” con la più neutrale “religione islamica”.