Martedì 13 marzo 2018 alle 18:30, il Centro Culturale Veritas, ha ospitato la conferenza: La pratica buddhista non violenta del popolo tibetano. Ne hanno trattato Ani Malvina Savio e Alessandro Groppo Conte.

L’evento è stato ideato e organizzato dal responsabile del Centro, Luciano Larivera, che ha curato l’ introduzione e la moderazione del dibattito. Esso è inserito nel progetto GLOCAL del “Veritas” Veritas, iniziato lo scorso settembre, in particolare nel ciclo Geopolitica e religioni, che riflette sull’attualità internazionale. Alla realizzazione della conferenza  hanno collaborato otto studenti del Liceo Linguistico Francesco Petrarca in alternanza scuola lavoro.

L’incontro ha approfondito la difficile situazione politica che intercorre fra il Governo di Pechino e la popolazione tibetana, che perdura. ai giorni nostri. La sua finalità era duplice: capire le fonti di tensione e i problemi in corso e prospettare le vie di riconciliazione tra le Autorità cinesi e il Governo tibetano in  esilio in India a Dharamshala.

Dopo la breve introduzione, il microfono è passato ad Ani Malvina Savio, monaca buddhista e presidente del Centro Buddhista Tibetano Sakya di Trieste, che, in partnership con il Centro Veritas, ha già realizzato diverse iniziative culturali.

Ani Malvina ha raccontato la sua storia personale, rimarcando la sua esperienza con il mondo tibetano e presentando le opere che sta portando avanti con India Onlus, di cui è presidente. I progetti in corso sono: sostegno a bambini rifugiati, attività ospedaliere nel Tibet indiano e adozioni a distanza.

La monaca ha insistito su alcuni princìpi fondamentali del buddhismo tibetano, in primo luogo la non violenza – sia fisica sia verbale –, che è la base di questa dottrina. A tal punto da non considerare un vero buddhista chi vìola questo principio.

Di seguito Ani Malvina ha letto i testi di due delle figure più importanti nella cultura buddhista tibetana contemporanea, sua santità il Dalai Lama e il monaco vietnamita Thích Nhất Hạnh. Del Dalai Lama è stata proposta una lettera scritta dopo sessant’anni di esilio in cui racconta le sofferenze vissute ed esprime misericordia verso chi l’ha condannato.  Del monaco Thích Nhất Hạnh, interprete della legge cosmi del Dharma, Ani Malvina ha letto un importante testo sulla pace come arma, e sui fondamenti della pratica non violenta. Ha infine spiegato come il buddhismo è arrivato in Tibet dall’India.

Nella seconda relazione, il dottor Alessandro Groppo Conte ha analizzato la situazione del popolo tibetano in chiave più politica e meno spirituale, con dettagliati cenni storici che ne hanno reso a pieno la drammaticità. Appassionato fin da giovane della cultura tibetana, dal 1998 Groppo Conte è Consigliere Nazionale dell’Associazione Italia-Tibet e durante la conferenza ha descritto le restrizioni a cui sono soggetti i tibetani, ad esempio l’impossibilità di espatriare e il fatto di non essere veramente rappresentati nel Governo cinese.

Il concetto su cui il relatore si è più volte soffermato è, vista la situazione, il rischio del genocidio culturale ai danni della civiltà tibetana. A dimostrazione di ciò, ha proposto la visione di un cortometraggio molto esplicito che è stato realizzato dalla sua Associazione. Si racconta la dura vita di una famiglia tibetana in territorio cinese, e l’auto-immolamento del padre col fuoco

Nel suo intervento ha spiegato che, nella Repubblica Popolare Cinese, esiste la regione autonoma del Tibet, ma questa autonomia figura soltanto sulla carta. In realtà la Regione è governata da Pechino e dalla maggioranza etnica degli han, che sta colonizzando il Tibet. Cina. Inoltre la popolazione tibetana è composta in tutto da sei milioni di persone, ma solo due risiedono in Tibet per via delle persecuzioni del Partito comunista cinese già ai tempi di Mao Zedong.

Per ascoltare in viva voce i due interventi, vi indirizziamo al podcast del Centro Veritas www.centroveritas.it/ascolta-i-podcast/

A cura di Pietro e Giorgia