La mia avventura da insegnante è iniziata un po’ per caso. Il mio professore di filosofia ha iscritto l’intera classe al progetto per coprire le ore di alternanza scuola-lavoro.

All’inizio non avevo idea di che cosa si trattasse. Sapevo solo che avrei insegnato l’italiano a una ragazza o un ragazzo straniero. Ero cauta: un po’ per carattere e un po’ perché, non essendo una professoressa, mi mancava la sicurezza nell’insegnare la mia lingua nel modo giusto. Dopo aver partecipato ad un incontro informativo sul progetto e aver saputo quanto avrei svolto, ero molto impaziente di iniziare.

Non tutti però erano entusiasti dell’iniziativa e all’interno della classe si sono presentati alcuni problemi. Non riuscivo a capire per quale motivo un’esperienza così utile e soddisfacente potesse creare un tale scompiglio tra i ragazzi e i genitori. Poi ho pensato che forse i problemi erano nati da una serie di pregiudizi che si sono diffusi tra le persone a causa dei media e dalla paura del diverso.

Ormai il timore di chi non è simile a noi ha preso piede all’interno della società e si va diffondendo. Più che dai giovani, la paura arriva dalle generazioni precedenti, soprattutto da numerosi genitori che sono spaventati da quanto potrebbe succedere. I ragazzi della mia età, ma anche ragazzi più grandi, sono abituati a vivere in una società mista, a condividere l’ambiente anche con chi non ne fa parte e avere amicizie diverse senza fare differenze.

Sono dell’idea che non dovremmo avere paura di ciò che è diverso da noi. Siamo tutti uguali, siamo tutti esseri umani anche se sono diversi il colore della pelle, la lingua che parliamo, il modo in cui pensiamo e il posto da cui veniamo. Penso che alcune persone dovrebbero avere un’apertura mentale più ampia e imparare ad accettare anche ciò che non è uguale a noi o al nostro modo di pensare e di essere.

Gaia Comar, Liceo Francesco Petrarca