Giovedì 15 marzo 2018 alle 18:30 si è tenuta presso il Centro Veritas la conferenza intitolata “Vivere a Trieste da profugo”, con ospiti tre rifugiati accompagnati da Matteo Danieli, un operatore dell’ICS, Consorzio Italiano di Solidarietà.

Prima della conferenza abbiamo potuto intervistare una di loro: il suo nome è Alan Amini e proviene dal Kurdistan iraniano. Ed è stato un botta e risposta incalzante. Nella foto sovrastante è la seconda persona da sinistra.

Come ti chiami? Da dove provieni?
Mi chiamo Alan Amini e vengo dall’Iran. Sono qui da quasi due anni: sono arrivata il 31 agosto 2016.

Come sei giunta qui?
Sono arrivata qua come rifugiata, ma prima sono rimasta nove mesi in Grecia ad Atene. Dopo sono venuta a Trieste.

Perché hai preferito l’Italia?
L’ho scelta perché mi piace e anche perché dipingo. L’arte italiana mi suscita tante emozioni.

Hai conosciuto altri luoghi oltre Trieste?
Ho visitato Verona e Venezia. Mi sono piaciute molto.

Che cosa ti ha fatto scegliere Trieste?
È una storia lunga. Prima di me, mio fratello è arrivato qui come rifugiato e mi ha detto che questa è una città molto tranquilla, più di Milano, ad esempio.

Com’era la tua vita in Iran?
A 18 anni ho iniziato a studiare marketing e management all’università, e ho continuato per sei anni. Mentre studiavo lavoravo in due aziende, una in Iran e una nel Nord iracheno. Dopo, per un problema politico, sono dovuta scappare.

Di che cosa ti occupi qui a Trieste?
Lavoro per l’ICS e anche per un ufficio che si occupa di mediazione culturale. Al momento non posso studiare perché non ho tempo, ma in futuro vorrei iscrivermi in Scienze Politiche qui a Trieste.

Qual è la tua impressione della città?
È molto bella, ma per me è troppo piccola. Ho vissuto per tanti anni a Teheran e prima abitavo in Kurdistan. Teheran è molto più grande di Trieste [ndr: ha quasi otto milioni e mezzo di abitanti] ma comunque mi piace qui. E il tempo è bello, quando non c’è bora.

E invece che cosa ne pensi delle persone?
Mi trovo molto bene coi giovani ma mi viene difficile relazionarmi con gli adulti.

Com’è stata la tua accoglienza?
Con l’ICS mi sono trovata bene e non ho mai avuto problemi. Attraverso alcuni gruppi di lavoro dell’ICS, ho anche avuto la possibilità di organizzare delle mostre sia dei miei dipinti sia fotografiche per creare un contatto fra noi rifugiati e il territorio [ndr: così come l’ICS sta facendo adesso con il mondo della scuola tramite l’Alternanza Scuola Lavoro].

Qual è il tuo rapporto con la lingua italiana? Da quanto la studi?
Dopo essere arrivata qui, per cinque mesi ho avuto molte difficoltà nell’impararla e pensavo che non ci sarei mai riuscita. Non dico che adesso il mio livello sia perfetto, ma va comunque molto meglio. Ho frequentato molti corsi di italiano, anche con l’ICS, e questo mi ha aiutata tanto. L’italiano è molto difficile, specie perché nella mia lingua madre non c’è la differenza tra i generi maschile e femminile e neanche così tanti tempi verbali.

Parli anche altre lingue?
Sì. Oltre alla mia lingua madre, il kurdo, parlo il dari, il farsi, il tagico e l’inglese. Conosco anche una lingua molto antica che ho imparato da mio padre: è composta per il 60% dall’ebraico ma è molto difficile. Adesso è parlata solo da pochissime persone.

Sei stata in altri Paesi oltre l’Italia e il tuo paese d’origine, l’Iran?
Sì. Ho vissuto due anni nel Kurdistan iracheno e poi 10 mesi a Dubai, dove lavoravo nell’ambito del marketing in un’azienda che aveva contatti in Germania.

Come vivi i tuoi affetti?
Appena arrivata a Trieste mio fratello viveva con me e lavorava anche lui per l’ICS, ma circa due mesi fa si è trasferito in Germania. Adesso sono sola qui. Parte della mia famiglia si trova in Iran e un’altra negli Stati Uniti, ma ho tanti amici in molti Paesi diversi. A Trieste ho avuto modo di fare nuove amicizie attraverso l’ICS, la Chiesa e la scuola. Conosco anche altri rifugiati, ma solo una di loro è curda come me.

Che cosa ne pensi della mentalità italiana?
Al primo impatto ho pensato che non sarei mai riuscita a crearmi una vita qui, perché non conoscevo nessuno e avevo paura del giudizio degli altri. Ma adesso ho cambiato completamente idea anche grazie all’ICS, che mi ha aiutata sotto molti punti di vista. Il mio lavoro e l’arte adesso sono una parte importante della mia vita, e il mio lavoro mi rende più felice perché quando mi occupo di mediazione ho la possibilità di aiutare tante persone che non parlano ancora italiano.

Quali sono i tuoi piani per il futuro?
Al momento non ho nessun progetto, ma so che vorrei il meglio per mio figlio. Ha nove anni adesso e vive in Iran con suo padre, il mio ex marito. Non parlo con lui da più di tre anni.

Come vivi la tua religione qui in Italia?
Nella mia vita, all’inizio, ero atea, ma poi mi sono avvicinata al cristianesimo protestante. Vivevo ancora in Iran all’epoca, ma lì è vietato seguire altre religioni al di fuori dell’islam e sono stata costretta ad andarmene. Qui ho la possibilità di viverla liberamente, senza nascondermi, ma quando vivevo in Grecia non era così.

Com’era la tua vita in Grecia?
Era molto diversa da qui. Tutti i rifugiati come me non ricevevano nessun aiuto da parte dello Stato: ho visto tanti bambini siriani dormire per strada in inverno. Io ero riuscita ad affittare un piccolo appartamento con altre persone, ma solo in nero. Era una situazione molto brutta per me e l’unica maniera per sfogarmi e tirare fuori tutto ciò che sentivo era dipingere. Poi ho deciso da sola di andarmene e sono arrivata a Trieste.

Quindi la pittura deve essere molto importante per te. Che cosa ti piace dipingere?
Quando dipingo, molti dei miei sentimenti più negativi vengono fuori. A volte piango mentre dipingo, altre volte ballo: la pittura per me è una cosa senza confini in cui posso mettere tutta me stessa. In questo periodo, ad esempio, mi piace molto il surrealismo.

Per concludere l’intervista, vuoi aggiungere qualcosa che ritieni importante per te?
Una cosa molto difficile per me è il pensiero di non poter tornare nel mio Paese, ma l’amore per mio figlio e la possibilità di aiutare gli altri con il mio lavoro mi spingono ad andare avanti ogni giorno. Il mio ex marito si è risposato e non vuole che nostro figlio abbia più contatti con me. So che entrambi hanno la cittadinanza anche in Canada per via del suo lavoro, e molto spesso vanno lì. Mio figlio pratica nuoto a livello agonistico, e molto spesso leggo delle sue vittorie sulle news nazionali: questo mi dà molta soddisfazione e spero che un giorno, quando sarà maggiorenne, vorrà tornare in contatto con me.

Diletta Fontanot & Giorgia Carchia