«Un uomo corpulento si avvicina. Sembra non avere buone intenzioni. Mi minaccia. Minaccia di colpirmi. Io resto immobile. Avevo paura. Riesco comunque a dirgli: “Fai pure. Continua”. Quello non sa che dire. Resta a bocca aperta. Mi volta le spalle e corre via».

Queste parole sono pronunciate da un sacerdote cattolico: Alejandro Solalinde denominato non a caso il difensore dei migranti in Messico. Alejandro non ha ricevuto solo questa minaccia. Alejandro ha rischiato la propria vita tante e tante volte.  Ne ha parlato durante la conferenza che ha tenuto al Centro Veritas lo scorso 9 ottobre.

Per capire che cosa significhi vivere come padre Solalinde è necessario osservare quale sia il contesto in cui egli opera. Ciò che meglio può far comprendere la situazione in modo oggettivo sono i numeri. Il Messico conta 119 milioni di abitanti; vi transitano ogni anno mezzo milione di persone dirette verso gli Stati Uniti… ventimila non raggiungono la meta. Molti vengono rapiti da chi ha bisogno di manodopera, altri schiavizzati, indotti alla prostituzione, destinati all’espianto e al traffico di organi. Se non hanno alcun parente ad aspettarli dall’altra parte del muro e pronto a pagare un riscatto, le possibilità di entrare sono minime.

Questi migranti tuttavia continuano a riprovare e continuano a sperare anche perché il Messico sta mutando. Lo Stato centroamericano a luglio ha votato per il cambiamento. E non c’è stato bisogno di una rivoluzione, di un’insurrezione, nonostante i voti comprati da parte dell’Autorità uscente, nonostante diversi vescovi invitassero a votare contro il candidato progressista. Nell’attesa dell’insediamento del nuovo Governo, il popolo messicano spera in un futuro di riscatto con meno corruzione, maggiore equità e maggiore tutela degli stessi migranti stranieri.

Nel 2007 è partita la conversione ai migranti del padre Solalinde. Era un sacerdote come altri, che celebrava la Messa e confessava. Ma quando capì che i migranti che vedeva passare davanti alla propria chiesa erano indifesi, decise di mettersi in marcia con loro e accompagnarli nel lungo cammino. Rinunciò, con il consenso del suo vescovo, alla sua casa e al suo posto in parrocchia per imbarcarsi in un «tesoro» di difficoltà e di pericoli.

A settant’anni, padre Alejandro ha seguito i migranti ovunque andassero. Come loro è salito di nascosto su treni stipati di persone, saltando da un vagone all’altro. Capitava che lo stesso giorno camminasse dal livello del mare fino a 2.600 metri di altezza senza sentire la mancanza d’aria. Ha imparato a convivere con situazioni estreme di temperatura, vivendo la morte come qualcosa di naturale, imparando a vivere senza nulla, scoprendo infine una nuova sensazione di libertà perché ha compreso quanto fosse poco importante prendersi cura di sé rispetto all’amore per i suoi amici migranti.

Uno dei punti fermi del sacerdote messicano si ritrova nel tema della libertà. In particolare egli si concentra sulla libertà dagli oggetti. I migranti infatti dimostrano come sia possibile poter vivere soltanto con lo stretto necessario. Essi non vivono in funzione delle cose,  perché «gli oggetti riempiono le case ma non il cuore», afferma padre Alejandro.

Nonostante le fatiche, nonostante i trafficanti di uomini abbiano cercato di ucciderlo più volte, da undici anni padre Solalinde lavora per questa povera gente. Per loro ha fondato “Hermanos e nel Camino”: settanta centri di accoglienza sul territorio messicano dove ogni anno passano 700.000 migranti ai quali sono offerti cibo, acqua potabile (difficilmente reperibile lungo il viaggio) e un posto sicuro dove dormire.

Il sacerdote messicano non è solo. Sono più di cento infatti le organizzazioni religiose e civili che lavorano per aiutare i migranti. Anche Amnesty International ha contributo molto a rendere pubblica questa tragedia messicana,  proprio partendo dalla testimonianza del nostro amico.

Padre Alejandro, nei suoi libri (“I narcos mi vogliono morto” e “Questo è il regno di Dio, Una vita radicalmente cambiata”), sostiene alcune posizioni particolarmente interessanti che aprono diversi itinerari di riflessione. Egli sostiene soprattutto che i migranti, in America come in Europa, possano essere a tutti gli effetti i salvatori della civiltà capitalista: sono loro che riescono a farci riscoprire la nostra umanità.

Luca Alberti

IV C, Liceo Scientifico Galilei, Trieste