Lunedì 15 maggio alle ore 18.30 si è svolta la conferenza “Il diluvio tra la prima e la nuova creazione”.
Con Luigi Nason, biblista. Online e in presenza a Milano, piazza San Fedele 4.
È possibile ascoltare il podcast della conferenza:
Il diluvio
Il racconto biblico della Genesi – scrive Gianfranco Ravasi su Famiglia Cristiana – ha un indubbio referente in alcuni antichi testi mesopotamici come la celebre tavoletta XI dell’Epopea di Ghilgamesh e il Poema di Atrakhasis, con i quali si possono identificare ben 17 punti di contatto. Alla base di questo mito mesopotamico c’era probabilmente la memoria di una tragedia naturale, forse causata dai due fiumi Tigri ed Eufrate che, tra l’altro, per un tratto di 350 chilometri prima della foce, procedono quasi come su una tavola piatta (si ha un dislivello solo di una trentina di metri!): ogni rigonfiamento eccessivo delle loro acque poteva dar origine a esondazioni clamorose, tant’è vero che gli antichi Babilonesi erano ricorsi a un complesso sistema di canalizzazioni. È naturale che l’evento, una volta entrato nel mito, aveva subìto amplificazioni grandiose che la stessa Bibbia accoglie e che ovviamente non devono essere prese alla lettera.
Così, per esempio, l’arca di Noè, se stiamo alle misure esorbitanti indicate dal testo biblico, era simile a un grattacielo galleggiante lungo 156 metri, alto 30, largo 26, con una capacità di 70 mila metri cubi. Gli stessi ospiti di quell’imbarcazione sono descritti secondo una classificazione di stampo rituale, comprendente le coppie di animali puri e impuri sulla base delle distinzioni sacrali.
La catastrofe, poi, acquista dimensioni planetarie, divenendo appunto un «diluvio universale». Non ha quindi molto senso assumere alla lettera questi e altri dati, né tanto meno – come ha fatto qualche buontempone (tra di loro anche un astronauta americano) – è possibile andare alla ricerca dei resti lignei dell’arca sul monte Ararat in Turchia.
La Genesi con questo termine fa riferimento all’accadico Urartu che in realtà era una regione montuosa, identificata poi con l’Armenia che, tra l’altro, considera quel monte dalla cima sempre innevata come un suo simbolo, anche se ora collocato politicamente in Turchia (ma è ben visibile anche dalla capitale armena Erevan). Anni fa uno scrittore olandese, Franz Westerman, ha pubblicato un affascinante racconto della sua ascensione alla vetta sacra e quasi inviolabile dell’Ararat (ed. Iperborea, 2010).
A questo punto ci chiediamo: qual è il vero significato di questo racconto biblico?