Inutile negarlo: sappiamo tutti che, dopo un’iniziale entusiasmo nei confronti dell’ “Europa”, in questi ultimi anni i cittadini europei hanno perso fiducia nell’UE e nelle sue Istituzioni, spesso sentite come distanti e inaccessibili.

In realtà non è così: sono molti i modi con cui si può concorrere attivamente nell’orientare le politiche europee, specialmente su temi di interesse trasversale ai partiti quali la discriminazione, l’accoglienza, l’ambiente. Se ciò non succede è anche perché, soprattutto in Italia, c’è poca conoscenza e soprattutto poca abitudine alla cittadinanza attiva.

Il seminario “Dialogare con l’Unione Europea” tenutosi lo scorso 26 settembre, organizzato dal Centro Culturale Veritas in collaborazione con varie Associazioni tra cui UCIIM Trieste, ha voluto affrontare proprio questo tema e far conoscere gli strumenti a nostra disposizione, come singoli e Associazioni.

Ovviamente, in primo luogo – ha premesso la relatrice Luisa Chiodi – è indispensabile conoscerle queste Istituzioni: Commissione, Parlamento, Consiglio Europeo (ben diverso dal Consiglio d’Europa) e gli ambiti di loro competenza, competenza che può essere esclusiva, concorrente o di sostegno.

In particolare, la politica estera e di sicurezza comune dell’UE è caratterizzata da aspetti istituzionali specifici, quali la partecipazione limitata del Parlamento europeo e della Commissione europea nel procedimento decisionale e l’esclusione di qualsiasi attività legislativa. Tale politica è definita e attuata dal Consiglio europeo (formato dai capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’UE) e dal Consiglio (formato da rappresentanti di ogni paese dell’UE a livello ministeriale). Il presidente del Consiglio europeo e l’alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza rappresentano l’UE in materia di politica estera e di sicurezza comune. https://moodle.balcanicaucaso.org/mod/book/view.php?id=36&chapterid=148

È poi necessario informarsi. E su questo fronte va riconosciuto che la cosa è possibilissima perché da anni le Istituzioni europee si sforzano in modo davvero enorme per farsi conoscere (ultima trovata Twitteropolis) e poi sono trasparentissime, molto ma molto di più delle nostre. In rete si trova di tutto: quali commissioni lavorano, su che cosa, i nomi dei presidenti, le relazioni degli interventi, l’evidenza delle spese… Tutto, proprio tutto. Inoltre sono una miniera, una vera preziosissima miniera di materiale. Luisa chiodi ci ha offerto la possibilità di conoscere e impiegare a scopi didattici la piattaforma di e-learning del suo centro studi (https://moodle.balcanicaucaso.org/course/view.php?id=6%20).

Inoltre bisogna darsi da fare con azioni di lobbying, consultazioni, o iniziative civiche, tutte cose cui noi italiani siamo poco abituati, preferendo piuttosto manifestazioni di piazza. Invece è più efficace muoversi istituzionalmente: innanzi tutto formare un’opinione pubblica – e qui la relatrice ha richiamato i numerosi docenti e giornalisti presenti in sala a farsi parte attiva -, poi avvicinare un parlamentare europeo ed il suo intergruppo, e fare rete con tutti gli stakehoder ovvero gli interessati. Gli spazi di azione ed anche i fondi ci sono, bisogna solo farsi sentire.

Oltretutto l’azione legislativa europea è estremamente rispettosa in quanto spesso propone non solo regolamenti che hanno immediata applicazione, ma anche più duttili “direttive” che indicano solo l’obiettivo da perseguire, lasciando il singolo Stato libero di legiferare in conformità al suo contesto. Sarà quest’ultimo infatti che formulerà, trasporrà, implementerà la direttiva in questione con le opportune norme. Interessante in particolare il passaggio della “implementazione” che è un’azione non verticistica, dall’altro in basso, ma collettiva, che invita alla collaborazione di tutte le realtà a tutti i livelli in forma sussidiaria.

Altro punto da sfatare: contrariamente a quanto si pensa qui in Italia, il Parlamento europeo è un organismo vivace e recettivo. Certo, è difficile riuscire a ottenere attorno ad un certo provvedimento l’esigente maggioranza qualificata, presso il Consiglio dell’UE, richiesta per la sua approvazione, certo: ma è altrettanto vero che si possono per lo meno porre all’attenzione determinate tematiche e sollevare su di esse un primo dibattito. È quanto accaduto solo poche settimane fa, come ha testimoniato Gianfranco Schiavone, a proposito di una proposta formulata proprio da lui stesso, vicepresidente ASGI e presidente ICS, e sostenuta con grande determinazione dalla parlamentare italiana Elly Schlein.  Si suggeriva una soluzione radicalmente diversa da quella dei vari regolamenti di Dublino circa la ripartizione dei migranti: in linea con la logica del “bilanciamento degli interessi” proponeva di ribaltare il concetto del legame tra Paese di arrivo e quindi di accoglienza del migrante irregolare per passare a quello dell’assoluta irrilevanza del luogo di arrivo del richiedente asilo perché tutti i 28 (o 27 dal prossimo marzo con la Brexit) sono territorio dell’UE. La proposta di Schiavone prevedeva, inoltre, una maggiore considerazione per la storia personale dello straniero nella scelta dello Stato membro a cui l’Ue lo avrebbe destinato: la presenza non solo di suoi familiari stretti ma anche della famiglia allargata, del ricongiungimento non solo di minori ma anche di neo-maggiorenni, della conoscenza della lingua, sponsorizzazione, precedenti soggiorni. Ala fine, il provvedimento è stato approvato dall’Europarlamento. Ma attendiamo pessimisti il Consiglio dell’UE dove anche paesi come il nostro voteranno contro i nostri stessi interessi (cfr https://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Il-futuro-dell-Europa-passa-dal-sistema-di-Dublino-186969)

Štefan Čok ha infine affrontato il caso-Trieste. Come città che si trova in terra di frontiera potrebbe utilizzare lo strumento del GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale) che consente a Paesi confinanti di affrontare temi di interesse comune quali: creazione di parchi naturali, potenziamento di servizi socio-sanitari, facilitazione dell’integrazione e mobilità degli studenti stranieri. Certamente collaborare tra Stati non è facile, bisogna armonizzare legislazioni diverse, ma le opportunità ci sono.

All’Europa poi, ha concluso Čok, vanno educati i giovani: con periodi di studio all’estero, esperienze di volontariato europeo, utilizzo della “garanzia giovani” che è un piano per favorire l’occupazione giovanile, sperimentazione di ruolo di parlamentare europeo nel “Parlamento dei Giovani” e, ovviamente, con una opportuna azione educativa.  A questo proposito ottimi risultati si sono già ottenuti con percorsi di peer-education dove gruppi di giovani motivati e preparati hanno letteralmente entusiasmato i loro coetanei.

(Marina Del Fabbro)