Il preposito generale della Compagnia di Gesù Arturo Sosa S.I. è giunto a Trieste per la celebrazione dei 60 anni del Centro Culturale Veritas. È la prima volta che un Generale dei Gesuiti viene nella nostra città.

Riportiamo integralmente il suo discorso.

Ascolta il Podcast:

Qui il file PDF: Centro Veritas_Trieste_ 26_01_2018

VOCAZIONE E CARISMA DI UN CENTRO CULTURALE

Centro Veritas

Trieste – 26 gennaio 2018

Desidero, prima di tutto, ringraziarvi per il fraterno invito a condividere con voi la celebrazione del 60° anniversario del Centro Veritas. Grazie per la calda accoglienza che mi avete riservato, e per avermi dato l’occasione di conoscere questa bella regione d’Italia, nella quale mi trovo per la prima volta.

 

  1. RICERCA SOCIO-POLITICA: LA MIA ESPERIENZA PERSONALE

 

È per me un’occasione che mi permette di condividere la mia esperienza di molti anni di lavoro al Centro Gumilla, della Provincia gesuita del Venezuela.

Il Centro Gumilla è sorto 1968, nel contesto ecclesiale e socio-politico del Concilio Vaticano II, fondato dall’allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù, P. Pedro Arrupe. Ma è stato il precedente P. Generale, p. Janssens che, convinto dell’importanza di prendere parte attivamente al “problema sociale”, promosse la creazione dei Centri di Ricerca e di Azione Sociale (CIAS) in tutte le Province dell’America Latina. Un progetto ambizioso di formazione dei giovani gesuiti nelle Scienze Sociali fu all’origine dei CIAS, che si organizzarono tenendo conto del momento, e delle caratteristiche di ciascuno dei Paesi e Province in cui nacquero, in mezzo a non poche tensioni interne alla Compagnia di Gesù, alla Chiesa e alla società.

All’orecchio dei gesuiti del Venezuela il termine CIAS suonava troppo simile alla CIA (Agenzia di Intellighenzia) nordamericana, di dubbia reputazione in tutta l’America Latina. Il CIAS del Venezuela prese il nome di Joseph Gumilla, che il p. Herman González, S.I., così descrive: “Gesuita, nato a Cárcer (Valencia, Spagna) il 3 maggio 1686 e morto nelle Missioni dell’Orinoco il 16 luglio 1750, grazie alla sua vita, alle sue opere scritte, all’interesse e all’entusiasmo che seppe suscitare per il riconoscimento e il controllo del grande fiume, diventò lo scopritore intellettuale dell’Orinoco. Facendolo conoscere al mondo europeo con la pubblicazione del suo libro (“L’Orinoco illustrato”, 1741), fece sì che si volgessero gli occhi verso il nostro Paese venezuelano, e in questo senso presentò il Venezuela al mondo scientifico europeo. Portavoce profetico delle grandi riserve naturali che vivono un’esistenza parassitaria nelle foreste della regione dell’Orinoco, fece audacemente appello alla responsabilità della Corte Spagnola nei confronti del ristagnare di quelle energie vitali”[1].

Fu uomo di fede, missionario, aperto all’interscambio culturale con gli abitanti del Nuovo Mondo, che si sforzò di comprendere imparandone le lingue, descrivendone l’ambiente e difendendone l’esistenza. Per questo fu l’ispiratore del Centro che stava nascendo, per comprendere più a fondo i processi politici e sociali di un Venezuela che cercava di arrivare alla modernità, “seminando” petrolio e aprendosi alla democrazia dopo lunghi anni di dittatura militare.

Il Centro Gumilla nasce con la vocazione di contribuire a una maggiore e migliore conoscenza della realtà sociale, culturale, politica ed economica del Venezuela, nel contesto latino-americano e mondiale. Una conoscenza intimamente connessa a un’azione socio-politica che cerca di contribuire, insieme a molti altri, a rendere possibile che il popolo organizzato sia soggetto della vita collettiva e tutti possano vivere con dignità e libertà.

Come novizio della Compagnia di Gesù, nel 1967, feci la mia prima esperienza di collaborazione con il Centro Gumilla partecipando alla fondazione di una Cooperativa di Risparmio e Credito in un quartiere povero della città di Puerto Cabello, nella quale si stava avviando anche una scuola popolare di Fe y Alegria. Ho poi lavorato durante i miei due anni di magistero, 1972-1974, (nella formazione dei gesuiti è l’intervallo tra gli studi di filosofia e di teologia) in questa sezione del Centro Gumilla, dedicata alla promozione di cooperative nel centro del Venezuela. In questo contesto ho conosciuto più a fondo la vita dei quartieri e ho scoperto il mondo contadino, esperienza importante per uno che era nato e aveva vissuto in una famiglia di classe medio-alta nella più grande città del paese, cioè Caracas.

Conclusi gli studi di teologia e ordinato sacerdote, fui destinato, nel 1978, al Centro Gumilla di Caracas, l’altra sezione del Centro Gumilla, che si dedicava soprattutto alla ricerca e all’analisi socio-politica. Vi rimasi fino al 1996, mettendo insieme gli studi di dottorato in Scienze Politiche, la ricerca e l’insegnamento universitario, con la direzione della rivista mensile (SIC) pubblicata dal Centro Gumilla e con la formazione socio-politica di leader popolari nei quartieri di varie città del Venezuela.

In questi 50 anni di vita del Centro Gumilla, la società venezuelana ha subìto enormi trasformazioni, vivendo un processo di una difficoltà tale da poter essere difficilmente compresa strada facendo, e partecipandovi attivamente. I redattori della rivista SIC e l’équipe del Centro Gumilla non si sono mai tirati indietro e hanno accettato la sfida. Su questa vicenda si fonda l’impegno di continuare a cercare un contributo effettivo alla trasformazione del Venezuela. Il Centro Gumilla e la rivista SIC vogliono essere portatori di un messaggio di speranza in mezzo a una situazione che spinge alla disperazione. Una speranza che stimola a fare ciò che si spera, a vivere nello stile di Gesù di Nazaret, in un contesto di disprezzo dell’essere umano e del Bene Comune.

 

  1. LA COMPAGNIA DI GESÙ E LA SUA MISSIONE OGGI.

 

In tal modo ben equipaggiato, ho partecipato, nel 2016, ai lavori della commissione che ha analizzato la situazione del mondo, per collocare le sfide alla missione della Compagnia di Gesù, nella fase preparatoria della Congregazione Generale 36.a.

Durante la già menzionata Congregazione Generale riunita più di un anno fa (ottobre – novembre 2016) la Compagnia di Gesù ha dato ascolto al grido dell’umanità per la riconciliazione e la giustizia. L’esperienza di un mondo colpito dalla crescente violenza fra gli esseri umani e contro l’ambiente, fa crescere questo grido di persone e società ferite dal fondamentalismo, dalla polarizzazione, dallo sfruttamento economico e dal degrado ambientale, molte volte giustificato in nome di alcuni dei. Sono molte le persone e le organizzazioni che lavorano assiduamente per la riconciliazione e la pace: questo comporta la cura della casa comune, nella quale cerchiamo di vivere con dignità. Con loro vogliamo essere compagni, in una missione di riconciliazione e di giustizia.

Senza giustizia sociale, la riconciliazione è soltanto una parola, e la pace una pura apparenza. La riconciliazione fra gli esseri umani richiede il riconoscimento di ogni persona, di ogni cultura e di ogni popolo, con tutto il suo valore, e in condizioni di eguaglianza. Richiede di mettere in atto le condizioni economiche e gli spazi pubblici, perché si stabiliscano rapporti politici nei quali il popolo organizzato sia soggetto delle decisioni fondamentali. Richiede politici e strutture di governo a servizio non solo degli astratti interessi della maggioranza, ma anche delle decisioni del popolo organizzato, e reso capace di agire politicamente.

La nuova epoca storica dell’umanità è caratterizzata dalla globalizzazione. Vogliamo considerarci come umanità e non soltanto come nazioni che condividono lo stesso pianeta. Vogliamo contribuire a sviluppare la coscienza della cittadinanza universale, perché siano gli interessi comuni dell’umanità a orientare le decisioni relative all’uso delle risorse comuni, la creazione e la distribuzione dei beni della civiltà. La globalizzazione si arricchisce con la diversità culturale e con l’intercultura, di modo che una cultura fecondi le altre, la solidarietà venga alimentata e si vada in cerca del Bene Comune, preponendolo agli interessi particolari delle imprese multi-nazionali.

 

  1. SEI REALTÀ ODIERNE CHE CI SFIDANO

 

Mi permetto, quindi, di dare uno sguardo a sei realtà del mondo d’oggi, che sfidano il nostro apostolato intellettuale e la ricerca di risposte creative.

3.1. La prima realtà sono le emigrazioni, in proporzioni mai finora conosciute. Si tratta di molti milioni di persone (secondo le Nazioni Unite, nel 2017 sono 250 milioni) che, nella condizione di emigranti, profughi o rifugiati (la ACNUR ne conta 66 milioni), abbandonano il loro luogo di origine e prendono il rischio di andare alla ricerca di una vita migliore o, per lo meno, di sopravvivere a conflitti, disastri naturali o situazioni di estrema miseria. Questi grandi movimenti umani si producono talvolta entro un medesimo paese, ma anche da un paese all’altro, da un continente all’altro. Una massa umana che soffre ogni genere di difficoltà, e che non sempre riceve il sostegno o l’accoglienza di cui ha tanto bisogno. Sovente, nel luogo dove arrivano trovano il timore dell’altro, il rifiuto, l’aggressività e perfino l’odio: atteggiamenti che si traducono concretamente nella costruzione di ogni tipo di barriere per evitare il loro arrivo o la loro integrazione sociale. Ma vi sono anche, nel mondo, molte mani tese, migliaia di persone che volontariamente cercano di facilitare l’accoglienza e l’integrazione di coloro che arrivano in altre società e culture.

3.2. Una seconda realtà si presenta sotto forma di un contrasto, che ci spiazza. Gli indicatori del sistema economico mondiale continuano a segnalare un continuo aumento della creazione di ricchezza. Vi sono Paesi che sono riusciti a eliminare la miseria o la povertà della vita di buona parte della loro popolazione. Tuttavia, la diseguaglianza cresce in proporzione al crescere della ricchezza. L’abisso fra ricchi e poveri diventa sempre più profondo e insormontabile. Perciò aumentano l’ingiustizia e le possibilità di conflitti sociali o fra le nazioni.

3.3. La terza realtà che ci sfida è l’indebolimento della capacità di dialogo, che porta all’inasprimento della polarizzazione e del conflitto. Il fanatismo, l’intolleranza, la minaccia per mezzo del terrore, la violenza e perfino la guerra, non smettono di aumentare. Non vi è dubbio che questo irrigidimento di posizioni, che non dispone al dialogo o al negoziato, è frutto di interessi meschini, che spesso rimangono nascosti. Così pure non vi è dubbio che tali proposte radicali trovano un’accoglienza più facile in persone che si sentono sfruttate, che vivono in povertà, che si sentono minacciate nella propria integrità fisica, morale e culturale, che non hanno avuto la possibilità di essere educate o che vivono in condizioni disperate. Conoscendo bene la forza di mobilitazione che l’aspetto religioso suscita nel cuore umano, non si ha nessuno scrupolo a usare la religione, e le immagini distorte delle divinità, per arrivare a debilitare o a eliminare la parte opposta, giustificando così reazioni di violenza, di odio e di aggressione.

3.4. Una quarta, triste realtà dei nostri tempi è la crisi ecologica che investe – come dice papa Francesco – la nostra “casa comune”. Il Papa, che ha scelto come “contrassegno” del suo pontificato il nome del santo fratello di tutta la creazione, ricorda, nella sua enciclica Laudato si’, in maniera chiara e indiscutibile, che il nostro attuale sistema di produzione e di consumo produce una cultura dello “scarto”, la quale non soltanto porta con sé il deterioramento di tutta la creazione, fino al punto di mettere a rischio la stessa sostenibilità del pianeta, ma che tocca anche profondamente il tessuto delle nostre relazioni sociali.

3.5. Un’altra realtà, che viviamo fra luci e ombre – ed è la quinta – è la cultura digitale, che va acquistando sempre maggiore spazio nella nostra vita. Non vi è dubbio che la tecnologia digitale, internet, le reti social del mondo virtuale, hanno prodotto dei cambiamenti radicali nel nostro modo di essere e di pensarci come esseri umani. Se – come dicevamo all’inizio di questa relazione – siamo costitutivamente esseri di relazione, in relazione e grazie alla relazione, in che modo comprenderlo, entro questa nuova realtà, in cui la comunicazione, la relazione, il modo di interagire prescindono dall’immediatezza della presenza dell’altro? Si tratta di cambiamenti culturali di vasta portata, che si sviluppano a una velocità che sembra superare la nostra capacità di assimilarli, comprenderli e controllarli. Vengono toccate le relazioni interpersonali e intergenerazionali, vengono sfidati i valori tradizionali, e la stessa comprensione e custodia di questa realtà mediante una adeguata legislazione viene sottoposta a immensi sforzi per non rimanere troppo in ritardo. Se, da un lato, il nuovo habitat umano, l’ “ecosistema digitale”, ci ha offerto la possibilità di espandere l’accesso all’informazione e la capacità di connessione solidale, in una misura inimmaginabile fino a pochi decenni fa, d’altra parte si sta dimostrando anche uno strumento di grande efficacia, purtroppo, per la diffusione di “notizie false” e la propagazione di pregiudizi, odio e aggressività senza controllo.

3.6. Infine – riprendendo un punto già ricordato all’inizio – ci troviamo in un tempo di indebolimento della politica. Come ci aveva detto il Papa quando ci ha incontrati in occasione della Congregazione Generale 36.a, In generale, l’opinione che ascolto è che i politici sono avviliti. Mancano quei grandi politici, che erano capaci di giocarsi sul serio per i propri ideali e non temevano né il dialogo né il confronto, ma che andavano avanti, con l’intelligenza e il carisma proprio della politica[2]. Non sono pochi i Paesi in cui si coglie una crescente delusione e sfiducia nei confronti della politica come ambito di ricerca del Bene Comune. Ciò dipende fondamentalmente dai risultati negativi prodotti dalla maniera in cui personaggi e partiti politici si sono comportati nell’esercizio delle loro funzioni. Vi è molta insoddisfazione e disistima riguardo alle aspettative non realizzate e ai problemi non risolti. Non si ha più fiducia negli attuali modelli di democrazia, e la mancanza di altre opzioni spinge molti a guardare con nostalgia a modelli autoritari o dittatoriali, aprendo così la strada a leader populisti, che conquistano il potere sfruttando la paura e la rabbia della gente con seduttrici proposte di cambiamenti irreali.

Queste sei sfide sono l’emblema di un cambiamento d’epoca. Più che mai, siamo consapevoli del fatto di essere, su questo pianeta, una unica comunità umana, e che non vi è modo di sfuggire al nostro comune destino.

 

  1. FEDE, RICONCILIAZIONE E GIUSTIZIA

 

Per chi trova nell’esperienza religiosa la sorgente motivante della propria vita, la giustizia è un’esigenza della fede. Di conseguenza, la lotta per la giustizia, nel senso più ampio, diventa una dimensione costitutiva e irrinunciabile del senso religioso della vita, ossia è una conseguenza dell’aver sperimentato il Dio della vita, il Creatore della storia umana, totalmente buono, che noi possiamo chiamare – come ci ha insegnato Gesù di Nazaret – Abba, Padre. Gesù ci pone tutti in una relazione di fraternità: questo comporta necessariamente l’esigenza che, tra i figli e le figlie del medesimo Padre, il riconoscersi, l’accogliersi, il rispettarsi, il sostenersi, il collaborare e il vivere in comunione siano assunte come dimensioni fondamentali del nostro esistere in quanto esseri umani.

La giustizia per la quale combattiamo, ispirati dalla fede, è quella del Regno di Dio. La comprensione di ciò che significa questo Regno nasce dall’annuncio stesso che ne dà Gesù Cristo con la sua vita e la sua parola. È  un Regno in cui il Re – Dio nostro Padre – non fa altro che prendersi cura, sostenere, servire i suoi figli e figlie, come lo ha fatto vedere Gesù in modo radicale nella scena della lavanda dei piedi. Quello che fa Gesù, lo fa, a sua volta, il Padre. È ciò che Giovanni ci testimonia di Gesù nel suo Vangelo: Chi vede me, vede il Padre (Gv 14, 8); e ancora: Il Padre mio lavora sempre, e anch’io lavoro (Gv 5, 17).

E noi che, con la grazia dello Spirito Santo, abbiamo accolto la Rivelazione del volto del Padre in Gesù Cristo, la sua Parola fatta essere umano, e che abbiamo seguito Cristo, cammino verso la vera vita, non possiamo sfuggire alle esigenze della giustizia se vogliamo essere fedeli al nostro nome di cristiani.

In questa stessa linea, la Compagnia di Gesù, nella sua Congregazione Generale 32.a (1974), comprende la propria missione come servizio della fede, di cui la promozione della giustizia costituisce un’esigenza assoluta, in quanto fa parte della riconciliazione degli uomini, richiesta dalla loro riconciliazione con Dio[3]. La Compagnia di Gesù, riunita nella Congregazione Generale 36.a, comprende se stessa, considerando la nostra attuale realtà mondiale, nelle medesima linea, come un gruppo di compagni chiamati a una missione di riconciliazione e di giustizia.[4]

Dal punto di vista della Chiesa Cattolica, la giustizia effettivamente presente in una società si misura partendo dalla prospettiva e dalla situazione dei poveri in questa società. Perciò i diritti umani sono anzitutto i diritti dei poveri, e di una società che rivendichi il diritto come la forma in base alla quale gestire la propria vita.

Se ci basiamo sulla concezione dell’umanità come creata per la vita in comunione, possiamo affermare, con linguaggio biblico-teologico, che ogni volta in cui, come esseri umani, ci allontaniamo da questo elemento, che ci costituisce, viviamo ciò che si è soliti chiamare “peccato”. Essenzialmente, il peccato è ciò che ci sottrae umanità, tutto ciò che la diminuisce, la danneggia, che ci fa perdere ciò che è umano, sia nell’ambito individuale che in quello comunitario. In questo senso, le rotture nell’ambito delle nostre relazioni fondamentali (con gli altri, con la creazione, con Dio) provocate dal nostro modo di relazionarci, sono peccati e hanno quindi bisogno di perdono e di riconciliazione. Il cammino della riconciliazione fa in modo che si ristabiliscano le relazioni e, con questo, la giustizia, nel senso che si ritorna a vivere in relazione giuste, opportune, adeguate e appropriate.

Fondamentalmente, la riconciliazione è una missione di speranza. Gli artefici della riconciliazione sono sempre messaggeri di fiducia nel futuro. Si sentono chiamati a guarire le ferite, a ricostruire ponti, ad abbattere muri, a proporre nuove strade. È in questo senso che la Compagnia di Gesù comprende l’intima relazione che passa fra riconciliazione e giustizia. Non è possibile avviare un processo che sfoci in una riconciliazione autentica, senza tener conto delle esigenze della giustizia. Quindi la promozione della giustizia sociale e la creazione di una cultura del dialogo fra le culture e le religioni fa parte del servizio alla riconciliazione tra gli esseri umani (sia individui che comunità), tra gli esseri umani con la creazione, tra l’umanità e Dio.

Sulla base della nostra esperienza cristiana non temiamo di affermare che queste tre dimensioni del servizio alla riconciliazione devono sempre essere unite. Sarebbe falso affermare una riconciliazione con Dio, se nel tempo stesso non vi è riconciliazione fra gli esseri umani, e di questi con la creazione. E non sarebbe neppure autentico parlare di vera riconciliazione con la creazione, se non tiene conto del fatto che questa è la condizione di possibilità del nostro esistere, che ci è stata regalata come Dono dal Creatore e che tocca a tutti noi curare e rispettare. La riconciliazione fra gli esseri umani sarebbe incompleta se non si considera il valore trascendente della nostra condizione umana.

Il servizio alla riconciliazione e alla giustizia implica che costruiamo ponti tali da consentire il dialogo. Molto spesso il compito di costruire ponti, o di “farsi ponti”, porta con sé l’essere maltrattati da parte dei due contendenti nel conflitto. Questo è il prezzo del nostro servizio e, nel desiderio di farlo secondo lo stile di Gesù, siamo disposti a pagarlo.

 

  1. IL CENTRO VERITAS E IL LAVORO IN RETE

 

Questo è il compito bello, e la sfida, che vengono proposti dal Centro Veritas e da tutti i gruppi di riflessione e di azione legati alla Compagnia di Gesù. L’esperienza ci insegna che siamo più fecondi se riusciamo a sostenerci vicendevolmente, intrecciando i nostri lavori attraverso le reti.

Il Centro Veritas si pone al servizio della Chiesa e della città di Trieste. Esso ha già una feconda storia, ha fatto un bel percorso e ha anche delle nuove sfide. Il suo dialogo con la cultura permette di annunciare la “Verità” del Vangelo e della dignità umana. Così come l’ascolto responsabile della verità dei “segni dei tempi” permette alla propria testimonianza cristiana di essere verace.

Trieste è la città di frontiera per antonomasia in Italia. Essa è la testimone diretta e dolente delle tre guerre mondiali europee (inclusa la “guerra fredda”) e dell’intolleranza persecutoria, nonostante la sua secolare apertura commerciale, culturale e religiosa. Mi riferisco alla annuncio della promulgazione delle leggi fasciste razziali proprio in questa città esemplare, 80 anni fa, e alle violenze interetniche che hanno insanguinato la Venezia Giulia e i Balcani. Quindi le sfide della riconciliazione, dell’intercultura, e dello sviluppo umano integrale, sostenibile e inclusivo appartengono anche al Centro Veritas.

A Trieste questo implica essere lì dove la città nel concreto vive: le fatiche della mutua integrazione con lo stranieri; gli slanci a essere un riferimento europeo e globale nella produzione scientifica e nella formazione professionale ma anche etica e cristiana delle nuove generazioni; e le sfide per lo sviluppo industriale e commerciale, quindi occupazionale, legate al suo glorioso porto.  Tutto ciò richiede di rafforzare e allargare la collaborazione dentro la famiglia ignaziana di Trieste e con le altre realtà del territorio, ecclesiali e laicali. Con l’invio di tre nuovi gesuiti, lo avete sperimentato con l’iniziativa MENS SANA nel 2016, lo state verificando con il progetto GLOCAL di quest’anno sociale e lo programmate per il progetto GLOCAL 4.0 del prossimo anno.

Il lavoro in rete apre nuovi orizzonti e offre nuove possibilità a ciascuno dei centri. I centri hanno dimostrato la loro efficacia nel mettere radici nella realtà in cui nascono e crescono. Penetrano profondamente nella complessità di ogni situazione, aumentano la propria comprensione e producono alternative. Se, inoltre, ogni centro è capace di condividere la propria esperienza con altri centri, e si lascia illuminare da ciò che compiono gli altri, la sua azione guadagna nuova vita, incorpora nuove dimensioni e la sua creatività si moltiplica.

Il lavoro in rete permette, inoltre, di fare un uso migliore delle risorse, sempre limitate, su cui possiamo contare. Gli sforzi di un gruppo possono così migliorare se altri vi si appoggiano. È fuori dubbio l’aiuto offerto dalle nuove tecnologie della comunicazione al lavoro in rete e al modo migliore di servirci delle nostre risorse.

 

Abbiamo imparato a lavorare in rete, ma bisogna dire che siamo soltanto ai primi passi di un cammino che stiamo scoprendo lungo e complesso. Un cammino che, da un lato, ci riempie di entusiasmo e che, dall’altro, ci pone degli interrogativi. Come Abramo, quando si lasciò alle spalle tutto quello che aveva e si mise in cammino, neanche noi sappiamo con certezza dove questo cammino finisca per condurci. Questa incertezza, non sempre vissuta facilmente con pace, ha due origini: la rapidità dei cambiamenti, connessi con il cambiamento epocale della storia dell’umanità, e l’azione dello Spirito Santo nella storia umana.

Come centri sociali e culturali siamo chiamati a comprendere il nostro presente, la sua storia e le sfide del futuro. Quelli che si sono mossi cinquanta o sessanta anni fa non hanno immaginato tutto quello che oggi stiamo vivendo. Era impossibile. Tuttavia, i loro sforzi e la loro generosità hanno reso possibile ciò che oggi noi siamo, come persone e come centri di riflessione e di azione. Oggi siamo consapevoli dell’impossibilità di disegnare il futuro con precisione. Possono accadere molte cose. Ma nello stesso tempo riaffermiamo il nostro impegno di preparare questo futuro: non sarà il frutto del caso, né di fatali predeterminazioni, ma dell’esercizio della libertà umana, di decisioni che abbiamo preso, o stiamo prendendo come persone o come società. Per questo, ha senso tutto quello che facciamo per approfondire la comprensione del presente e la sua storia, per creare e mantenere vivi spazi di dialogo più ampi e plurali, per promuovere la responsabilità propria dei cittadini, con una prospettiva universale … Non basta lamentarsi per l’ingiustizia o entusiasmarsi per i progressi scientifici e tecnologici. Crescere come esseri umani significa assumersi la responsabilità delle decisioni che stanno creando il futuro. I nostri centri sono chiamati a promuovere questa sensibilità profonda della responsabilità umana.

Dalla nostra fede noi sappiamo di non essere abbandonati in mezzo alla creazione e alla storia. Abbiamo fatto l’esperienza di un Dio profondamente impegnato nella sua creazione, frutto di un amore senza limiti. Sappiamo che continua ad agire nella storia, dopo aver dato la massima dimostrazione del suo amore nella Pasqua di Gesù il Messia. Sappiamo che tiene fede alla sua promessa di stare con noi tutti i giorni sino alla fine della storia. Non sappiamo con certezza dove stiamo andando ma, nella fede, sappiamo in chi abbiamo posto la nostra fiducia.

Vi sono grato di avermi consentito di condividere con voi la mia esperienza e queste idee, che sono soltanto grandi pennellate nel quadro in cui cerchiamo di rispondere alla nostra vocazione umana e cristiana. Sicuramente i vostri contributi, commenti e domande potranno migliorare la riflessione che vi ho proposto.

Arturo Sosa, S.J.

 

 

[1] Tomado de http://www.gumilla.org/?p=page&id=14738797612392. Consultada el 20 de enero de 2018.

[2] Tener coraje y audacia profética. Diálogo del Papa Francisco con los miembros de la CG 36ª de la Compañía de Jesús el 24 de octubre de 2016.

[3] CG 32, D. 1, n. 2.

[4] Cf. CG 36, D. 1.